«Che colore hanno le palpebre quando, tenendole chiuse, ci mettiamo di fronte al Sole? Non è nero, non è chiaro né scuro, non è nemmeno un colore solo. Io ci ho visto il miele».
«Il miele?» gli chiede.
Lui prende respiro e guarda verso il mare.

«Mi sono acceso una sigaretta e l'ho fumata in silenzio, senza muovermi. Mi sono concentrato con tutto me stesso sul colore delle mie palpebre. E' stato come cercare di fermare un'immagine che non vedevo. Non ho pensato a nient'altro e mi sono sforzato di tirare fuori qualcosa da quel pozzo colorato e buio dei miei occhi: ci ho visto il miele».
Gli prende la mano e lo guarda preoccupata. Anche lei sposta lo sguardo sul mare. La scia del tramonto sembra sfrecciare velocissima sul mare e colpirli in pieno, in mezzo allo stomaco, perché è lì che lei sente d'un tratto dolore.

«Quanto tempo manca?»
«Tredici minuti» risponde dopo aver guardato l'orologio. Le sorride cercando di scacciare la preoccupazione che li avvolge e li tiene sospesi.

Spostando lo sguardo dalla riva all'orizzonte, lei prova a spingere tutto quel dolore via, lontano, oltre la linea che segna la fine del mondo e che sembra così vicina. Ma è come quando da piccola cercava di spingere via le onde che arrivavano sul bagnasciuga. Qualsiasi sforzo non è in grado di portare indietro l'acqua. Il suono che fa adesso, sulla riva, è forte e lei non sente altro. Poggia la testa sulla sua spalla, annusa il suo odore ancora per un po'.

«Com'è stato quando te ne sei accorto?»
«E' stato come vedere tutto più chiaro. Sono riuscito a mettere a fuoco la melassa di luce e pelle che si mischiava in uno spazio inesistente tra l'iride e le palpebre. E poi è arrivato il vento e ho visto le ombre dei miei capelli che svolazzavano sulla fronte. Mi sono sentito come sotto una palma di qualche spiaggia dei Caraibi».
«E poi?»
«Poi ho buttato la sigaretta e ho riaperto gli occhi. C'erano loro davanti a me»

Lei stringe il suo braccio e chiude gli occhi per non far cadere qualche lacrima. Più il cielo si fa buio e più la luce che percorre il pelo dell'acqua diventa scottante sulla fronte. Prova a chiudere gli occhi. E' troppo buio ormai, pensa, perché ormai non vede nient'altro, nient'altro che nero.

«Comincio a sentire freddo» gli dice.
Lui prende il giacchetto che sta a terra e fa per coprirle la schiena ma all'improvviso il soffio dell’aria diventa un fischio inquietante. Per un attimo allora si ferma, le sue braccia sospese sopra le piccole spalle di lei. Guarda quella schiena e non riesce a togliere gli occhi. Sa che non ricapiterà. Quella schiena che vorrebbe accarezzare, di cui vorrebbe ancora scoprire ogni singola curva per poi perdersi nel sapore della sua pelle. Ma la luce sul mare sta svanendo e non c'è più tempo. La stringe nel giacchetto e lei si abbandona al volere di quel gesto amaro e delicato. Guardano il sole scomparire oltre l'orizzonte.

Alla prima ombra della notte, un lampo color del miele illumina per un attimo ogni cosa intorno a loro. Si guardano e non c'è bisogno di parole, né le forze per dirle, in ogni caso. Quando i loro occhi si perdono, ci sono tre forme davanti a loro. Non sanno dire quante braccia abbiano, né gambe, perché un velo di denso liquido li ricopre da cima a fondo.
«Dobbiamo andare» dice quello al centro, alzando qualcosa che dev'essere un braccio, pensa lei. Nonostante la penombra, riesce a scorgere due macchie nere al di là della melassa che continua a cadere lentamente a terra, tra l'erba. Deve tirare un po' indietro i piedi per non sporcarsi.
«Va bene» risponde lui. Si gira ancora verso di lei, la bacia - e poi si alza. Lei si stringe nel giacchetto, ne sente l'odore e guarda quelle luci gialle portarlo via, verso riva. Con le gambe che si disperdono sul bagnasciuga, le tre figure si sciolgono in una piattaforma che sovrasta l'acqua, e lui ci sale sopra. Si siede, poi si sdraia e viene trasportato da quella pozza dorata che inizia a muoversi verso l'orizzonte. E quel dolore al petto, allora, si scioglie anche dentro di lei, diventando lacrima.



«Non potevamo lasciarti, non dopo che l'hai scoperto» gli dice Due, seduto al volante della navicella.
«Lo so, lo so. Avete fatto quel che dovevate, non sarei voluto più rimanere sulla Terra».
«E ci credo!» sbotta Tre mentre stappa un barattolo di miele. Si mettono tutti a ridere, a guardarsi negli occhi, e finalmente lui si sente più a suo agio.
«Quando scopri gli Uomini di Miele, diventi uno di loro. Non c'è altra legge che tenga più di questa» dice, mentre gli passa il barattolo. «Vedrai, non c'è cosa più dolce».

Lui si affaccia dal finestrino mentre il mare diventa una piccola macchiolina blu. No, non poteva fare altro. Non le manca nemmeno più, capisce, mentre un filo di miele comincia a cadergli dalle ciocche sulla fronte. E quel liquido gli passa davanti agli occhi, dondolando a destra e sinistra seguendo le vibrazioni del decollo nello spaziotempo. Comincia a ridere, a non riuscire a trattenersi più, a crepare dalle risate mentre il suo vecchio pianeta si fa disperso nel cosmo. Le risate sono ruggiti che deve volgere a un cielo che non lo ricopre più, e quello che sente non gli era mai sembrato così grande. Si passa la lingua sulle labbra, cercando di raccoglierne quanto più gli è possibile. Gli schiocchi dei barattoli che si stappano fanno lo stesso suono delle bolle che scoppiano sotto la superficie.

E' così dolce, quel miele che non ha un colore. E' così soffice mentre lo ricopre da cima a fondo.